Underfloor - "Vertigine" (SUB 002 - 2008)
Uscito il 15 ottobre 2008
Distribuzione Materiali Sonori/Suburban Sky
Vertigine,
elegante e schietto, realizza il paradosso di un prog minimale (questo
cantato a-pretenzioso avrebbe salvato dal cattivo invecchiamento molte
opere dei nostrani anni '70). Basso, tastiere, sporadici archi e soprattutto
chitarre coi loro arpeggi liquefanno le canzoni, che scorrono vitali,
senza rischio di gelo nelle notti invernali delle loro atmosfere. Matteo
Urro, Guido Melis e Lorenzo Desiati hanno raggiunto il non facile obiettivo
di trovare la propria cifra stilistica personale (Diego Capelli
- Rockerilla)
Matteo Urro, Guido Melis e Lorenzo Desiati sono gli Underfloor, classico
trio rock alle prese con sonorità e materiali che parlano il
linguaggio di band come Afterhours, Radiohead, Marlene Kuntz e Tiromancino.
Fiorentini, co-prodotti dal geniale Ernesto De Pascale, Vertigine è
orgogliosamente registrato in analogico e mixato in modo da presentare
un muro sonoro oscuro, compatto e coinvolgente. E' un romanticismo psichedelico
e di stampo cantautorale quello che i sette brani di Vertigine propongono
con una maturità espressiva e compositiva sorprendenti. (Alessandro
Staiti - Chitarre)
Autori di un ottimo disco d'esordio nel 2004, gli Underfloor tornano
con un lp ancora più convincente e rifinito, che li colloca senza
alcun dubbio tra le formazioni di punta del nuovo rock italiano. La
produzione di Ernesto De Pascale ha conferito un elemento di carisma
in più, ma da parte sua il trio fiorentino ha conquistato maturità
e compattezza. I richiami a Radiohead, Sigur Ros e Pink Floyd del passato
si stemperano in una tela sonora malinconica, sfuggente, delicata. (Donato
Zoppo - Movimenti Prog)
Tra i solchi di La mia necessità, Ancora un
inverno, Bianco e Non ho più parole
si incuneano spesso ospiti, con deliziano con flauti, archi, pianoforte,
che conferiscono profondità e saggezza al suono, una sorta di
rock post (e non post-rock), che incalza sul fronte dellenergia
e della scrittura e a cui non mancano elementi vagamente lisergici,
che dimostrano come sia ancora possibile staccarsi dalla banalità
del rock, pur scrivendo semplici canzoni. (Gianni della Cioppa
- Il Mucchio)
Un disco dominato dalle dinamiche, perfettamente enfatizzate da una
registrazione orgogliosamente analogica, che restituisce tutto il fascino
che questa band è capace di creare dal vivo. Tutti gli strumenti,
voce e parole comprese compongono ununica massa sonora,
che si muove, si contorce, parla e sospira, urla e tace, lasciando allascoltatore
il suo spazio, per entrare nelle canzoni, di soppesare le
poche intense parole che compongono i testi. In unera sempre più
devota alla ridondanza, al di più, la sconvolgente essenzialità
di Novembre, o la leggerezza dellelaborato arrangiamento
di Ancora un inverno, sembrano una boccata di ossigeno.
(Jacopo Meille - Musicalnews/Il Popolo del Blues)
Vi sono dei dischi che, come le collezioni di figurine custodite gelosamente
in qualche cassetto a casa della mamma, amiamo trarre con cura eppoi
sfogliare, sfiorare coi polpastrelli, andando alla ricerca di schegge
emozionali che ci facciano provare una volta più le emozioni
dellinfanzia, raccolte via via dalla nostra memoria e catalogate
con cura nei suoi recessi. Il pop obliquo degli Underfloor suscita tali
sensazioni, e nobilita la scena alternativa italiana, andando a suggere
umori già fatti propri negli ultimi anni da Marlene Kunz e da
Afterhours (ascoltate la lunga, conclusiva Dallesterno
e lasciatevi travolgere dalla marea montante della melodia distorta
e foggiata a piacere dal gruppo), declinandoli però personalmente,
con una attitudine ancora vergine e sopra tutto decorrelata da generi
e da tendenze. (Adriano Moschioni - Versacrum)
Fin da subito il primo brano, "La Mia Necessità", rende
l'idea dello spessore di questo disco. Chitarre sapientemente arrangiate
scolpiscono coi loro arpeggi le sfaccettature della struttura del pezzo,
mentre basso (Guido Melis) e batteria (Lorenzo Desiati) si incastrano
in un ingranaggio perfetto. Il tutto arricchito dai tasti del piano
di un ospite di passaggio, Fabrizio Orrigo. Su questo tappeto si distende
la voce di Matteo Urro, già alle chitarre, che scivola lentamente
con una melodia dilatata, in contrasto col ritmo incalzante della traccia.
Il rock melodico degli Underfloor convince, nasconde in sé quel
qualcosa in più che sorprende. Davvero un bel passo avanti per
una band in grado di arricchire ulteriormente il panorama nostrano.
(Sonia Scialanca - Babylon Magazine)
Le 7 tracce di questo nuovo lavoro ci mostrano una bella maturità
espressiva e compositiva, con un sound a metà strada tra Afterhours,
Marlene Kuntz e Radiohead, facendo emergere una robustezza lirica davvero
sopra la media, cosi come è nel suo complesso questo disco. Malinconia,
desolazione, rimpianto e rassegnazione sono un po le parole chiave
dei testi della band che spesso cozzano invece con un approccio acido
e psichedelico come nella bellissima Non Più Parole,
dove emerge tutto lamore per le soluzioni stilistiche di Tom Yorke,
senza dimenticare larrangiamento orchestrale dellaltro picco
del lotto con Ancora Un Inverno, pezzo dotato anche di un
grande appeal radiofonico. (Fabio Cusano - Artists&Bands)
Dopo l'ottimo album di esordio tornano gli Underfloor, promettente band
fiorentina che si candida a rievocare la scena in cui nacquero Litfiba
e Diaframma. Vertigine segna un'importante crescita sia dal punto di
vista compositivo sia per gli arrangiamenti ora più curati ed
efficaci. Il trio formato da Matteo Urro (voce e chitarra), Guido Melis
(basso e voce) e Lorenzo Desiati (batteria) ha messo insieme sette brani
che rappresentano molto bene lo stato dell'arte dell'indie rock italiano.
(Salvatore Esposito - Jam)